E poi verranno giorni tiepidi, dove l’abitudine si poserà lieve sulle cose, come un velo di polvere.
E forse tu mi amerai un po’ meno, e io ti guarderò con sguardo malinconico, a chiedermi dove siamo finiti.
Verranno giorni opachi, di delusione e stanchezza, che non sapremo nemmeno come abbiamo fatto a perderci.
Arriverà il momento temuto, di una ferita inferta senza preoccuparsi di come sia accaduto; di frasi confuse e occhi distratti.
Saranno anche per noi giorni più lunghi e faticosi, di corpi lontani, espressioni assorte.
Arriverà una stanchezza a cui non sapremo dare nome, errori evitabili, inciampi, trappole e la necessità senza senso di boicottare quello che abbiamo.
Ci sarà un tempo per gli inganni, e poi per le parole dure, per l’aria che manca, e anche la terra, sfilata da sotto i piedi.
Ci sarà tempesta e forse nessuna quiete, e non è detto che ci sarà perdono.
O forse invece no.
Ci saranno rituali, che sono fondamenta e non inni alla noia.
Ci saranno nuovi spazi vitali, scelti con cura.
Ci saranno sempre braccia aperte ed una mano tesa e la voglia di raccontarsi ad ogni passo, di fronte alla montagna dei nostri limiti e paure, mangiata un pezzetto alla volta, come il proverbiale elefante.
E saremo capaci di sceglierci e sceglierci ancora, malgrado tutto, nonostante tutto.
E di guardarci, semplicemente, nudi agli occhi uno dell’altra, così come siamo, e di vederci per quello che siamo.
Bellissimi e imperfetti, con rughe e smagliature dell’anima, occhi piccoli, capelli arruffati, qualche chilo di troppo e cicatrici sparse qua e là.
Senza filtri, maschere, parole superflue, presenze inopportune, passati trapassati e sepolti sotto l’unica certezza dell’autenticità.